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Brescia paga un alto costo

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Martedí 24 Febbraio 2009


È un inverno gelido quello che la siderurgia bresciana sta attraversando: domanda rallentata e mercati bloccati hanno di fatto messo alle corde lo zoccolo duro dell'economia che ha reso famoso il capoluogo. La crisi si è abbattuta a novembre, contemporaneamente alla neve che ha imbiancato il paesaggio delle valli dietro la città: negli ultimi mesi del 2008 la produzione delle aziende metallurgiche e siderurgiche targate Brescia è infatti calata del 15%, mentre la mancanza di new entry nel portafoglio ordini, per il momento, non fa che allontanare le speranze di una rapida inversione di tendenza.
«Fino a settembre – spiega il numero uno di Federacciai, Giuseppe Pasini, presidente del gruppo Feralpi di Lonato – l'output italiano di acciaio era in crescita rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente». Alla fine di ottobre, però, la rotta si è invertita bruscamente: «In pochi mesi siamo passati dal segno più al segno meno. Basti pensare che nel solo mese di dicembre il settore ha fatto registrare un -31% e nel mondo è stato prodotto il 24% in meno di acciaio rispetto al 2007».
Alla necessità di ridurre i costi, le aziende che dispongono di forni elettrici non a ciclo continuo già a inizio autunno avevano risposto cominciando a tagliarli innanzitutto laddove si presentavano più alti, e cioè alla voce energia. Turni solo di notte dal lunedì al venerdì e il sabato e la domenica anche di giorno hanno portato a un risparmio del 30% sulle bollette: una soluzione – non strutturale ma molto diffusa – adottata dalle industrie Duferco di San Zeno sul Naviglio (200 addetti), dalle Ferriere Valsabbia di Odolo, negli stabilimenti bresciani della Ori Martin e dall'Alfa Acciai di San Polo (controllata dalle famiglie Stabiumi e Lonati), e accettata anche dai sindacati, «come contropartita alla salvaguardia dei posti di lavoro».
La misura non è però bastata e, nell'ultimo mese dell'anno, il calo degli ordinativi ha provocato una vera e propria ondata di ricorsi alla cassa integrazione ordinaria: 84.148 ore in dicembre (+993% rispetto allo stesso mese del 2007), 306.633 in gennaio (+745%), praticamente il doppio del totale di quanto richiesto nel corso del 2007. Situazione in linea, del resto, con quella che si sta vivendo a livello nazionale, dove nei prossimi due mesi potrebbero arrivare a 17mila gli addetti destinati alla cassa integrazione sui 60mila totali del comparto.
All'inizio di febbraio i vertici dell'Alfa Acciai hanno comunicato che il protrarsi della crisi del mercato con conseguente calo dell'attività stimato nel 35% porterà a un esubero di 250 unità su 850 occupati. Nessuno dovrebbe perdere il posto di lavoro ma verrà applicato un contratto di solidarietà con una riduzione d'orario media del 35% e con percentuali variabili a seconda dei reparti.
La difficile congiuntura continua a pesare anche sulle fabbriche della Valtrompia. Tra queste l'Effebiesse di Villa Carcina (pressofusione in zama; Cig chiesta fino al 10 maggio per tutti gli 80 addetti) e la Pfb di Sarezzo (pressofusioni, 93 addetti; fino al 27 marzo per tutti gli addetti). «Le preoccupazioni in materia di lavoro sono concrete – ha spiegato Franco Tamburini, presidente degli industriali bresciani, commentando i dati sulla Cig di gennaio – e ci domandiamo fin quando potrà durare il ricorso agli ammortizzatori sociali».
Grande imputato è il settore dell'automotive: il calo della domanda di semilavorati da parte delle case automobilistiche ha superato il 50% e ciò ha avuto pesanti implicazioni nel crollo complessivo della richiesta di prodotti piani (-38%) e lunghi (-25%). E se il vicepresidente dell'Aib, Giancarlo Dallera, durante il convegno «La filiera dell'automotive a Brescia: come uscire dalla crisi?», ha chiesto in aiuto al settore «un protezionismo europeo per sostenere le difficoltà del comparto», le preoccupazioni di Tamburini si concentrano soprattutto sulle difficoltà di accesso al credito: «È necessaria una moratoria a Basilea2 – continua –, per lo meno ad alcuni parametri come il calcolo sulla percentuale di insoluti che inevitabilmente in questo periodo diventa penalizzante». La conclusione è: chi soffre di più è chi ha più investito ed è quindi doveroso poter ridiscutere i piani di rientro con le banche.
E per ripartire? «Gli incentivi ai consumi messi in campo fino a oggi dal Governo – conclude Tamburini – non sono che una goccia in un mare. Confidiamo in nuovi finanziamenti in opere pubbliche: l'Italia ha bisogno di infrastrutture e sul territorio c'è ancora molta fiducia nelle capacità di ripresa della siderurgia bresciana. Attendiamo la primavera». Il tempo che ci vorrà, insomma, per veder scomparire la neve dai monti.

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